Doppeldrim avanzava per primo ad andatura sostenuta ripensando allo strano e crudele destino di Thönet. Per mesi lo aveva cercato in tutte le contee e aveva finito per trovarlo quasi per caso. Se non fosse rientrato prigioniero al castello fra tanto trambusto, egli avrebbe ripreso il suo cammino senza sapere che nella stalla, da circa due anni, il giovane stava cercando di rifarsi una vita in un esilio volontario. A nessuno aveva raccontato la sua storia, nemmeno a colei che gli aveva ridonato il sorriso e fatto conoscere emozioni mai provate prima.
Alla retroguardia mastro Berlucco si voltava continuamente con angoscia, terrorizzato all'idea di doversi scontrare contro un ignoto nemico fatto di ombre. Anche se cercava di pensare ad altro, la mente finiva per trovare altre fonti di preoccupazione. Non dava certo per scontato che loro tre uscissero vivi dalle montagne, ma se fosse successo, e sicuramente se lo auspicava, cosa avrebbero potuto fare contro Necario e i suoi scagnozzi? Si era posto varie volte la domanda su cosa intendesse fare il capitano. Certamente Violet era una bellissima ragazza, lo sapeva bene lui che l'aveva vista crescere fin da bambina e sbocciare nel più bel fiore dell'impero. Ma come e dove avrebbero potuto vivere loro due con quei pochi armati? Necario non era un cavaliere, non aveva terre né possedimenti dove rifugiarsi. Venderla a qualche ricco signore del vicino oriente? Sarebbe stata un'impresa oltremodo lunga e difficile. O forse si sarebbe venduto lui a qualche nobile dell'impero portandola in dote…?
Fra loro due Clarette cavalcava triste e rassegnata, anch'ella dubitando sulla possibilità di poter attuare un qualsiasi piano per liberare Violet. Era combattuta fra l'essere solidale con la rivale per la sorte che le era toccata e un odio quasi furioso per essere stata lei stessa la causa di quanto successo negli ultimi giorni, forse della morte stessa di Thönet. L'unico modo che aveva per distogliere la mente dai pensieri più cupi, era cercare di trovare il modo di ridicolizzare le sette regole che stavano alla base della disciplina del biondo rastaliano così da poterlo fare suo. Le aveva imparate in modo sparso e non avrebbe saputo né ricostruirne l'ordine, né tanto meno citarle con le parole esatte come faceva il Custode nei momenti meno opportuni. "Osserva e Preserva" era inequivocabilmente la più importante, la forza vitale di ogni comportamento di Leopoldo. Poi aveva imparato presto a sue spese il divieto di toccare cadaveri per evitare sacrilegi e sciacallaggi ai danni dei nemici vinti. Una sembrava riguardare le modalità d'intervento, ovvero poteva difendere e difendersi, ma mai attaccare deliberatamente. La più strana riguardava i capelli e Clarette non si capacitava sul motivo di dover regolamentare una simile acconciatura, soprattutto per degli uomini. Da quello che aveva capito quegli strani riccioli erano curati seguendo una metodologia ben specifica e codificata dallo stesso fondatore dell'ordine. Anche le armi non erano una scelta personale di Leopoldo ma facevano parte del corredo dei Custodi, che prevedeva solo quei due pugnali. Un'altra ancora prevedeva che per i primi dieci anni dall'arruolamento, un Custode non potesse fare ritorno alla sua famiglia nemmeno per un giorno. Infine, ma per lei non era sicuramente la meno importante, ce n'era una che regolava i rapporti con le donne, ma pur avendo provato a scalzarlo in vari modi per farlo parlare, Leopoldo si era sempre chiuso in un silenzio di tomba.
Per loro fortuna l'attraversamento dell'ultimo tratto di gola non presentò particolari problemi, se non per l'atmosfera sempre più cupa e nebbiosa e l'aria quasi irrespirabile.
Arrivarono quindi a sboccare anche loro dove già era passato Necario con i suoi e dopo circa mezzo miglio, sul terreno più morbido, trovarono finalmente le loro tracce.
Purtroppo l'uscita che avevano percorso era svariate decine di metri più in basso e a qualche centinaio lateralmente da quella dove giaceva stremato il rastaliano e quindi non si avvidero del suo corpo inerte accasciato al suolo.
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