lunedì 19 marzo 2007

York e la vedova nera*

Era una notte buia e tempestosa, le stelle cadevano a decine, forse per incuria, forse per distrazione. York vagava solingo e ramingo cercando l’assassino, ma di maggiordomi a giro non se ne vedevano. Da nove ore stava camminando lungo i docks del porto di Lambrate, dove neanche le jene hanno il coraggio di ridere. Il negro lo fissava intensamente con il corpo e con la mente, ma lui restava incorreggibile nella sua freddezza, non una parola, non un gesto. Avesse almeno avuto con sé il suo fedele Armaduk, con cui riusciva a parlare per ore senza essere mai interrotto. Che cane che era! Il gelato si era ormai sciolto per il troppo calore umano di una donna non più giovane, ma che si vedeva fin troppo bene che da giovane doveva essere stata brutta, e con l’alito pesante. Una jena provò timidamente a ridere fra sé e sé, ma senza rendersi conto di ciò che stava facendo. Tutto successe così all’improvviso che neanche York se ne rese conto: si ritrovò disteso sotto la biondazza che ormai non c’era più niente da fare se non subire passivamente. E subì! Le prime luci della notte stavano spegnendosi e York, più triste del solito, riprese il suo lento cammino per le strade di Forlì.

*Attenzione, rigorosamente VM18!, unico racconto a luci rosse di York.

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