Dopo aver ascoltato numerosi sogni, Violet cominciò a formulare una sua teoria sul loro significato che non aveva niente a che vedere con le arti divinatorie dell'epoca classica. Ella pensava che la mente di notte formulasse dei pensieri usando una simbologia e che quindi i sogni andassero letti come un'iscrizione geroglifica.
Un pomeriggio di primavera, dopo un veloce pasto, corse veloce alla studiolo del precettore, sicura di poterlo convincere della bontà delle sue idee e di poter rintuzzare qualsiasi contestazione del saggio. Bussò due tre volte sempre più concitata, finché non vide passare un servitore in corridoio al quale chiese notizia dell'aio. Questi rispose: «Dove volete che sia? Come sempre sarà dietro le cucine a dare una ripassata alla cuoca!» e proseguì per la sua strada sghignazzando.
Indispettita Violet si apprestò a scendere pensando tra sé: «Ah, che gente! Invece di ridere farebbe bene a seguire anche lui le lezioni di Kemal! Non si sa nemmeno esprimere… "una ripassata"… tse! "Ripassare qualcosa con qualcuno" si dice, che diamine! …Anche in latino… ehmmmm… "Repetere aliquid cum aliquo"… qualcosa del genere almeno…». Nel frattempo entrata nelle cucine non vi trovò nessuno ma sentì la voce della cuoca, distinguibile per la cadenza veneta, che diceva: «…ahio… che màl… ahio… Kemal, non smettere… ancora… ancora… che màl… Kemal… ooohhhh…». «Caspita - pensò - è ancora più appassionata di me negli studi!».
E stava già per aprire la porticina che dava sul giardino quando la sua attenzione fu richiamata da una cameriera che le disse che suo padre l'attendeva nella sala.
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