«A cena! sì, la invito a cena! …e dove? nella stalla…? forse è meglio un aperitivo, se solo sapessi cos'è… ah!, potrei portarle la luna… naaa… troppo banale… forse un brillante grosso come… come… u… una noce! no, di più! due noci! ecco sì! …già, ma nemmeno se mi vendessi come schiavo troverei gli scudi sufficienti… ahia! quale figlio di un onagro recalcitrante ha messo lì quello scalino? …dunque dicevo… la primavera, ecco, sì, le donerei la primavera, campi di fiori da abbracciare e su cui rotolarsi, profumi che stordiscono i sensi, un ruscello che l'accarezzi con lo scorrere delle sue acque e un cielo azzurro consapevole di non poter uguagliare i suoi occhi… e…», così borbottando fra sé, Thönet percorreva scale e corridoi per tornare alle stalle. Quelli che lo incontravano scuotevano la testa al vederlo ancor più perso del solito nei suoi sogni, alcuni provarono inutilmente a salutarlo.
Violet, nel frattempo, era riuscita a riemergere e a divincolarsi dalla stretta dell'anziana cameriera. Uscita dall'acqua si era quasi strappata la veste inzuppata e si era avvolta nel lenzuolo per asciugarsi.
«Insommaaa!!! Si può sapere cosa sta succedendoooo??? Qualcuno si vuol degnare di spiegarmi??»
Le serve più giovani si voltarono tutte verso quella che era considerata un'istituzione al castello, sperando che in qualche modo riuscisse a calmare Violet.
«Che domande, lo sapete benissimo, da oggi comincia il ricevimento dei pretendenti alla Vostra mano…».
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